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fear
 Gatto [ 08/03/2006 @ 21:19:01, in sezione epistasi,  88 click]

Il coraggio. Probabilmente, quando vi fu l’ipotetica ideazione della definizione di “coraggio”, fu subito chiaro il subordinamento all’etimo “paura”. Ovviamente sono solo speculazioni le mie, non ho manco la presunzione di chiamarla ironia, però fa riflettere come nell’eccezione del termine, la paura è strettamente ed intimamente legata all’antitesi del coraggio stesso. Non che io mi reputi un coraggioso, tantomeno un codardo, ma credo che chiunque, almeno un paio di volte nella vita, abbia dovuto analizzare e soppesare il valore sostanziale delle due definizioni e cercare una locazione personale all’interno dei due insiemi.
Credo che talvolta, credo che spesso, bisognerebbe analizzare il perché delle cose, le limitazioni che ci imponiamo e le motivazioni che adduciamo ad un comportamento o piuttosto che ad un altro, alla luce della definizione di “paura”.
Perché cazzo non arrivo fin lì? Perché non faccio quella cosa e mi levo il pensiero una volta per tutte? Perché no? Perché questo e non quello, perché!?
Ok, sarebbe riduttivo quanto inverosimile racchiudere il significato di ogni limitazione dietro il termine “paura”, vi sono tante e tali variabili in ogni situazione che spesso è persino difficile ricollocare una rinuncia o un sacrificio dietro ad una motivazione netta e lineare.
Ma allora dov’è annidata sta cazzo di paura? La paura è fra le righe dei perché, dei per come e dei non so se.
Beh, ma allora di che cazzo stiamo parlando?
Di “coraggio”. Perché talvolta coraggio non significa essenzialmente essere privi di paura, anzi; può significare acquisire la capacità lucida e cosciente di analizzare i propri limiti, anatomizzarli entomologicamente e adoperarsi per affrontarli in un clima di controllata razionalità.
Bisognerebbe solo ricordarsi che la paura è un istinto che nasce dall’esigenza coerente e inconscia di tutelarsi da potenziali pericoli e da minacce tangibili. Ma ciò non deve costituire un limite. Se non si affrontano le proprie paure si rischia di affogare nella stasi, e nella stasi non vi è ovviamente nessuna speranza d’evoluzione, positiva che sia. L’istinto di conservazione della specie quindi dev’essere subordinato sì al riconoscimento del pericolo, della minaccia, al timore dell’incognito incontrollabile, ma solo nella ragionevole direzione che porta all’individuazione delle cause della paura e della sconfitta delle stesse.
Ecco, ora che ho trascritto questa sega mentale mi sento realizzato. Alla fine basta avere le palle girate per aver voglia di scrivere sul proprio blog abbandonato, no?
Peccato che ci siano ancora due o tre discorsi che non ho ancora avuto il coraggio di affrontare con un paio di persone. E per quanto trovi valide e razionalissime scuse per procrastinare ogni cosa, non posso esimermi dal rinfacciarmi che la mia è solo paura delle conseguenze. E di che poi? Alla fine, io sono sempre nel giusto. Sempre. E magari è proprio di quello che ho paura. O no?
Vaffanculo va, buonanotte.