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di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
 Gatto [ 30/03/2006 @ 21:41:50, in sezione spigolature,  142 click]
Finita la conversazione, lui continuò a guardare la televisione. Col passare del tempo, gli diventava sempre più difficile spegnere l’apparecchio. Sapeva che tra l’istante in cui avesse spento e il momento in cui si sarebbe addormentato sarebbe calata un’immensa depressione. Era per questo che era restio a spegnere. Avrebbe dovuto riprendere il filo dei propri pensieri... Ci sarebbe stato un vuoto da riempire.
Don De Lillo, “Giocatori”
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 Gatto [ 29/03/2006 @ 00:09:26, in sezione caro diario,  229 click]
Oggi mi ha scritto una persona.
Cioè, veramente è da un paio di giorni che mi scrive.
Oggi le ho risposto.
Non la sentivo da 2 anni.
Non la leggevo da 4. Non la pensavo da tanto.
Ma io mi chiedo, ma che per caso in fronte c’ho scritto “giocondo”?

Mi viene il dubbio che la gente pensi che io abbia un tatuaggio sulle chiappe, qualcosa tipo “rocco was here” o “I’m waiting only you”.

Con tutto il mio affetto incondizionato e sincero, non sono interessato.
Buone cose.
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 Gatto [ 26/03/2006 @ 21:08:54, in sezione ipse scripsit,  138 click]
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 Gatto [ 26/03/2006 @ 13:16:31, in sezione caro diario,  147 click]
- Gatto, io preferisco venire con la mia macchina.
- Sicuro?
- Sicurissimo!

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 Gatto [ 24/03/2006 @ 13:11:42, in sezione spigolature,  86 click]
Jacques LeFevrier, un francese, non lasciò nulla al caso, quando decise di suicidarsi. Sali' su di una collina, legò il capo di una fune al suo collo e l'altro capo ad un masso (per impiccarsi). Bevve del veleno e prima di saltare dalla collina si diede fuoco e cercò di spararsi. Il proiettile pero' manco' il bersaglio e trancio' la fune che lo legava al masso. A questo punto, l'aspirante suicida cadde nel lago sottostante. L'improvvisa immersione spense le fiamme e gli fece vomitare il veleno, fu tirato fuori dall'acqua da un pescatore e portato in ospedale... dove mori' di ipotermia.
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 Gatto [ 24/03/2006 @ 00:15:14, in sezione epistasi,  105 click]
Oltre, oltre non c’è arrivato nessuno. Non sopravvivono.
Per quanto arduo non sia, è dolorosamente noto il fallimento di intere legioni.
Non dovrebbe essere difficile, non dovrebbe essere complicato, faticoso, duro, stancante.
Eppure io sto da questa altra parte, dove non arriva nessuno, se non per fare baccano o confusione.
Sì, ogni tanto qualcuno passa, ma non sopravvive granché.
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 Gatto [ 11/03/2006 @ 21:05:02, in sezione epistasi,  117 click]
il vento così forte che la macchina beccheggia.
fra i palazzi di fronte le nuvole scorrono vicinissime; frastagliate, nere.
il parabrezza si riempie di tante, tantissime goccioline; inesorabilmente.
inizia persino una canzone che ci sta. ci sta benissimo, ci sta così bene che resti lì imbambolato a fissare le nuvole che si rincorrono dietro il parabrezza ricoperto di pioggia e vorresti che non finisse mai. ti scopri così assorto, così smarrito dietro quel millimetro di cielo che credi di essere lì davvero.
e non può strafottertene di meno di tornare, vuoi restare lì, fra il vento, la pioggia e la tempesta, per sempre. lontano, lontano da tutto e da tutti, lì dove nessuno può dirti nulla, dove non possono arrivare a scocciarti, dove pare che neppure ti pesa stare solo, anzi, non si potrebbe stare meglio. solo, senza voci intorno, senza fastidi, senza sciocchezze, senza futilità; immerso, annegato nei tuoi pensieri. circondato solo da te stesso, acqua, nuvole e vento.
l’attimo perfetto, da godere, da sognare. la perfezione colta di sorpresa nella sua semplicità.
un soffio, effimero gustato, sviscerato in tutta la sua pienezza. che ti travolge, ti rapisce, ti ruba alla realtà.
è stupendo, pensi; ma si apre la portiera.
”scusa ho fatto tardi, andiamo?”
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 Gatto [ 08/03/2006 @ 21:19:01, in sezione epistasi,  87 click]

Il coraggio. Probabilmente, quando vi fu l’ipotetica ideazione della definizione di “coraggio”, fu subito chiaro il subordinamento all’etimo “paura”. Ovviamente sono solo speculazioni le mie, non ho manco la presunzione di chiamarla ironia, però fa riflettere come nell’eccezione del termine, la paura è strettamente ed intimamente legata all’antitesi del coraggio stesso. Non che io mi reputi un coraggioso, tantomeno un codardo, ma credo che chiunque, almeno un paio di volte nella vita, abbia dovuto analizzare e soppesare il valore sostanziale delle due definizioni e cercare una locazione personale all’interno dei due insiemi.
Credo che talvolta, credo che spesso, bisognerebbe analizzare il perché delle cose, le limitazioni che ci imponiamo e le motivazioni che adduciamo ad un comportamento o piuttosto che ad un altro, alla luce della definizione di “paura”.
Perché cazzo non arrivo fin lì? Perché non faccio quella cosa e mi levo il pensiero una volta per tutte? Perché no? Perché questo e non quello, perché!?
Ok, sarebbe riduttivo quanto inverosimile racchiudere il significato di ogni limitazione dietro il termine “paura”, vi sono tante e tali variabili in ogni situazione che spesso è persino difficile ricollocare una rinuncia o un sacrificio dietro ad una motivazione netta e lineare.
Ma allora dov’è annidata sta cazzo di paura? La paura è fra le righe dei perché, dei per come e dei non so se.
Beh, ma allora di che cazzo stiamo parlando?
Di “coraggio”. Perché talvolta coraggio non significa essenzialmente essere privi di paura, anzi; può significare acquisire la capacità lucida e cosciente di analizzare i propri limiti, anatomizzarli entomologicamente e adoperarsi per affrontarli in un clima di controllata razionalità.
Bisognerebbe solo ricordarsi che la paura è un istinto che nasce dall’esigenza coerente e inconscia di tutelarsi da potenziali pericoli e da minacce tangibili. Ma ciò non deve costituire un limite. Se non si affrontano le proprie paure si rischia di affogare nella stasi, e nella stasi non vi è ovviamente nessuna speranza d’evoluzione, positiva che sia. L’istinto di conservazione della specie quindi dev’essere subordinato sì al riconoscimento del pericolo, della minaccia, al timore dell’incognito incontrollabile, ma solo nella ragionevole direzione che porta all’individuazione delle cause della paura e della sconfitta delle stesse.
Ecco, ora che ho trascritto questa sega mentale mi sento realizzato. Alla fine basta avere le palle girate per aver voglia di scrivere sul proprio blog abbandonato, no?
Peccato che ci siano ancora due o tre discorsi che non ho ancora avuto il coraggio di affrontare con un paio di persone. E per quanto trovi valide e razionalissime scuse per procrastinare ogni cosa, non posso esimermi dal rinfacciarmi che la mia è solo paura delle conseguenze. E di che poi? Alla fine, io sono sempre nel giusto. Sempre. E magari è proprio di quello che ho paura. O no?
Vaffanculo va, buonanotte.

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 Gatto [ 06/03/2006 @ 21:56:37, in sezione spigolature,  119 click]
Di Michele Serra

Più o meno ogni giorno, da mesi, gli esperti ci spiegano che ci si può ammalare di aviaria solo attraverso il contatto diretto con un uccello migratore ammalato. Sono stati individuati cinque modi principali per contrarre il virus:
1. Leccare un cigno morto;
2. Andare appositamente in Asia e voltolarsi nudi nella cacca di pollo per almeno un'ora;
3. Inghiottire al volo un tordo crudo;
4. Pulire con la lingua un cornicione imbrattato dai piccioni;
5. Limonare con un barbagianni.
In Asia il virus è endemico tra gli uccelli di ogni tipo da una diecina d'anni, ma sono morte solo poche decine di persone, in condizioni igieniche pessime e tutte a causa di uno dei comportamenti sopra descritti.

Statisticamente, è molto più facile morire per un incidente domestico che per l'aviaria: ciononostante la gente crede che una casa senza crocchette di pollo e con la canna fumaria intoppata sia un luogo protetto. E che tenere in giardino due rottweiler nevropatici sia molto più sicuro che avere una gallina.

È in questo clima che in Italia dilaga la psicosi del pollo assassino. Milioni di consumatori sono convinti che i petti di pollo, il brodo di cappone e le uova sode uccidano all'istante non solo chi li mangia, ma anche chi li nomina. Questa pollofobia non ha alcun interesse per i virologi, ma appassiona gli studiosi di psicologia di massa.

La domanda che è alla base di questa disciplina venne formulata, alla fine dell'Ottocento, dal medico tedesco Otto Trauber, nel suo famoso saggio 'Ma la gente, è cretina?'. Trauber aveva studiato a lungo la credenza popolare secondo la quale, se una donna con le mestruazioni tocca una pianta, la fa appassire. Fece un esperimento: chiese a cento donne mestruate di toccare un mazzo di fiori. Il mazzo, ovviamente, non appassì, ma la centesima donna, un'obesa di Düsseldorf, inciampò avvicinandosi al vaso e schiacciò i fiori. Al dottor Trauber apparve chiaro che l'esperimento aveva dimostrato empiricamente ciò che anche la logica suggerisce: e cioè che non esiste rapporto tra mestruazioni e stato di salute della flora. Ma le protagoniste dell'esperimento non furono di questo parere: vedendo i fiori schiacciati, si considerarono colpevoli collettivamente del triste epilogo, piansero a lungo e picchiarono duramente il dottor Trauber perché le aveva indotte a rovinare dei fiori così belli.

Trauber elaborò il suo postulato scientifico più celebre: 'La gente crede solo a quello in cui vuole credere', che è il titolo del suo secondo saggio. Il terzo, scritto poco prima di morire, era un malinconico testamento scientifico: 'Questi qui non la capiscono neanche se gliela ficchi in testa a martellate', accolto severamente dalla critica del tempo che giudicava l'opera di Trauber antipopolare e contraria allo spirito positivista dell'epoca. Al di là delle controverse teorie di Trauber, non c'è dubbio che diversi accadimenti, dalla sua morte ai giorni nostri, avvalorano almeno una parte delle sue conclusioni. Comportamenti e convinzioni privi di qualunque supporto razionale (come la paura di contrarre l'aviaria mangiando pollo) hanno spesso larghissima diffusione. Dall'idea che esista davvero l'impero sommerso di Atlantide, con i tritoni, le sirene e tutto il resto, all'idea, ancora più pazzesca, che esista la Padania. Dagli avvistamenti degli Ufo soprattutto sui cieli che sovrastano le birrerie e i pub, al miracolo economico previsto dal governo italiano. Dalla convinzione che le piramidi siano state erette dagli alieni, a quella che la mafia riuscirà finalmente a costruire il ponte sullo Stretto.

"La gente", scriveva Trauber nel suo diario, "crede nelle cose più assurde, e lo scienziato vedrà sempre le sue confutazioni razionali infrangersi contro il muro della credulità. Per questo lo scienziato è triste, e la gente è contenta". Fa impressione pensare che Trauber scrisse queste righe senza sapere che, dopo la sua morte, si sarebbero affermate la gemmoterapia e Berlusconi.

il padrone di casa si dissocia dall'ultima asserzione reputandola arbitraria, faziosa e fuori luogo; sopratutto in periodo pre elettorale ed in pieno clima di par condicio.
cazzo.
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 Gatto [ 04/03/2006 @ 18:56:16, in sezione epistasi,  131 click]
il progetto è fallito.
forse si è solo consumato. o magari è questo il normale decorso.
mi annoia incredibilmente 'sto blog.
non ho più voglia di scrivere, non ho nessuna voglia di farmela venire e soprattutto non ho nulla di interessante da raccontare, e anche se l’avessi, mi annoierei a trovare le parole giuste e oltretutto troverei ridicolo doverlo fare.
ognittanto la mattina, sì ognittanto capita. mi sveglio con qualche idea che sembra disponibile alla trascrizione, ognittanto capita, ma non è nulla di chè. Ogni idea, ogni pensiero, ogni minima aspirazione svanisce prima di colazione.
nel bisogno d’essere l’implicito istinto al sembrare svanisce, nella noia, persino lo stimolo ad agire, se ripetitivo, diviene noioso.
oh che palle.
il blog è morto e neppure io mi sento granché bene.
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